Lettera alla Comunità Parrocchiale di “S. Pietro Apostolo” in Lanciano
“Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, e dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (Ap 1, 4-6).
Carissimi, mi rivolgo a voi – parroco e sacerdoti, diaconi e religiose, famiglie, gruppi ecclesiali e associazioni, fratelli e sorelle – con le parole del saluto iniziale con cui si apre il libro dell’Apocalisse, per augurarvi, come San Giovanni Apostolo alle comunità a cui scriveva nel suo tempo, la pienezza dei beni messianici da parte di Dio Padre, la pienezza dei doni dello Spirito Santo in azione e la certezza dell’amore di Gesù, sul quale possiamo sempre contare perché, appunto, Egli è “Colui che ci ama” e che “ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue e che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Mi rivolgo a voi, inoltre, nel giorno della Squilla, con tutto ciò che questo significa per ciascuno di noi, per la Chiesa e per l’intera Città di Lanciano!
Non può esserci occasione migliore, infatti, per ripresentare alla vostra attenzione la descrizione più bella di Gesù: Egli è colui che ci ama, che ci accompagna con il suo amore costante e fedele per sempre; colui che è, anche nel nostro oggi quotidiano, il nostro amante e colui che ci ha tolto il peso dei nostri peccati che, come una rete, ci tenevano e ci tengono imbrigliati; Egli, poi, è colui che “ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il nostro Dio e Padre”, cioè persone capaci di relazionarci con Dio e di riconoscere ed incarnare la Sua presenza nella nostra storia personale e familiare, nella storia della nostra comunità parrocchiale e della Chiesa universale ed in quella dell’intera umanità. Prima di ogni altra cosa, quindi, tutti insieme, siamo chiamati a riconoscere questa realtà: il Signore è presente in mezzo a noi – anche in questo periodo che, come ci ha ricordato l’altro giorno Papa Francesco nel suo discorso alla Curia Romana, è un tempo di crisi – e, qui ed ora, ci ama e ci parla. Desidero fare mie le parole del Santo Padre perché esprimono ancor meglio di quanto avrei saputo fare io stesso, ciò che, insieme al mio Consiglio episcopale, avevo pensato di scrivervi, dopo essermi incontrato con voi nell’assemblea di questa estate e dopo aver ascoltato, nell’arco di un anno abbondante, un grandissimo numero di persone della vostra comunità: dal parroco ai diaconi, dalle religiose ai ministri straordinari, dai ministranti agli scout, dai catechisti ai vari gruppi e associazioni, dalle famiglie a chiunque altro abbia voluto incontrarmi.
Diceva il Papa: “Questo Natale è il Natale della pandemia, della crisi sanitaria, della crisi economica, sociale e persino ecclesiale che ha colpito ciecamente il mondo intero. La crisi ha smesso di essere un luogo comune dei discorsi e dell’establishment intellettuale per diventare una realtà condivisa da tutti. Questo flagello è stato un banco di prova non indifferente e, nello stesso tempo, una grande occasione per convertirci e recuperare autenticità”.
In questo stesso discorso, fra l’altro, il Papa ci ricorda ciò che ci aveva detto il 27 marzo scorso, sul sagrato di San Pietro, a proposito del possibile significato della tempesta (cfr. Mc 4, 35-41) che si era abbattuta su di noi e sul mondo intero: “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità, lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alle nostre comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di imballare e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente salvatrici, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte alle avversità. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ego sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
La crisi, allora, è un fenomeno che investe tutti e tutto… Non ha risparmiato Abramo e Mosè, Elia e Giovanni Battista e nemmeno Gesù stesso! Essa è presente ovunque e in ogni periodo della storia. Coinvolge le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la fede, la religione… Si tratta di una tappa obbligata della storia personale, familiare, ecclesiale e sociale. Si manifesta come un evento straordinario, che causa sempre un senso di trepidazione, di angoscia, di squilibrio e di incertezza nelle scelte da fare…
Essa non ha risparmiato nemmeno noi e, anzi, all’esperienza della crisi generale, noi dobbiamo aggiungere l’esperienza di una crisi, per così dire, più nostra, che riguarda cioè la vostra e nostra comunità parrocchiale di San Pietro, che abbiamo fatto e stiamo ancora facendo! Questa doppia crisi, però, non possiamo affrontarla come il profeta Elia (1Re 19, 14) senza speranza: la speranza, infatti, ci ricorda ancora Papa Francesco, “dà alle nostre analisi ciò che tante volte i nostri sguardi miopi sono incapaci di percepire”. Dio continua a far crescere i semi del suo Regno anche in mezzo a noi, afferma ancora il Santo Padre; certamente “anche il nostro tempo ha i suoi problemi, ma ha anche la testimonianza viva del fatto che il Signore non ha abbandonato il suo popolo, con l’unica differenza che i problemi vanno a finire subito sui giornali – questo è di tutti i giorni – invece i segni di speranza fanno notizia solo dopo molto tempo, e non sempre”.
Se noi, come il profeta Elia, guardassimo la crisi senza la luce del Vangelo ci limiteremmo a fare l’autopsia di un cadavere, come dice sempre il Papa; del resto, è proprio il Vangelo per primo a metterci in crisi! Se io e voi, sorelle e fratelli carissimi, trovassimo – uso ancora le parole del Santo Padre – “di nuovo il coraggio e l’umiltà di dire ad alta voce che il tempo della crisi è un tempo dello Spirito, allora anche davanti all’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni, dello smarrimento, non ci sentiremo più schiacciati, ma conserveremo costantemente un’intima fiducia che le cose stanno per assumere una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio”.
Per questo, carissimi, non possiamo e non dobbiamo confondere – come, purtroppo, a volte, è successo – la crisi con il conflitto. A questo proposito, uso ancora le parole di Papa Francesco che sembrano scritte e pronunciate proprio per noi: “Sono due cose diverse. La crisi generalmente ha esito positivo, mentre il conflitto crea sempre un contrasto, una competizione, un antagonismo apparentemente senza soluzione fra soggetti divisi in amici da amare e nemici da combattere, con la conseguente vittoria di una delle parti”.
La logica del conflitto cerca sempre i colpevoli da stigmatizzare e disprezzare e i giusti da giustificare, per introdurre la consapevolezza – molte volte magica – che questa o quella situazione non ci appartiene. Perciò, per dirla ancora con le parole del Papa, “questa perdita del senso di una comune appartenenza favorisce la crescita o l’affermarsi di certi atteggiamenti di carattere elitario e di gruppi chiusi che promuovono logiche limitative e parziali, che impoveriscono l’universalità della nostra missione”.
La Chiesa universale, la Diocesi e la parrocchia, lette con le categorie del conflitto – destra e sinistra, progressisti e tradizionalisti, con il Papa e contro il Papa, con il Vescovo e contro il Vescovo, con il Parroco e contro il Parroco, con il Parroco di oggi e con quello di ieri – frammenta, polarizza, perverte, tradisce la sua vera natura: “essa è un Corpo perennemente in crisi proprio perché è vivo, ma non deve mai diventare un corpo in conflitto, con vincitori e vinti. Infatti, in questo modo diffonderà timore, diventerà più rigida, meno sinodale, e imporrà una logica uniforme e uniformante, così lontana dalla ricchezza e pluralità che lo Spirito ha donato alla sua Chiesa”. La novità introdotta dalla crisi voluta dallo Spirito non è mai una novità in contrapposizione al vecchio, bensì una novità che germoglia dal vecchio e lo rende sempre fecondo, proprio come la spiga che nasce dal chicco che muore… Diceva sempre Papa Francesco: “In questo senso, tutte le resistenze che facciamo all’entrare in crisi lasciandoci condurre dallo Spirito nel tempo della prova ci condannano a rimanere soli e sterili, al massimo in conflitto. Difendendoci dalla crisi, noi ostacoliamo l’opera della Grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi. Perciò, se un certo realismo ci mostra la nostra storia recente solo come la somma di tentativi non sempre riusciti, di scandali, di cadute, di peccati, di contraddizioni, di cortocircuiti nella testimonianza, non dobbiamo spaventarci, e neppure dobbiamo negare l’evidenza di tutto quello che in noi e nelle nostre comunità è intaccato dalla morte e ha bisogno di conversione. Tutto ciò che di male, di contraddittorio, di debole e di fragile si manifesta apertamente ci ricorda con ancora maggior forza la necessità di morire a un modo di essere, di ragionare e di agire che non rispecchia il Vangelo. Solo morendo a una certa mentalità riusciremo anche a fare spazio alla novità che lo Spirito suscita costantemente nel cuore della Chiesa”.
La Grazia, lo sappiamo bene, è un tesoro che viene da Dio, non da noi stessi; ma, sappiamo bene anche questo, “noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio e non viene da noi” (2Cor 4, 7). La Chiesa universale, ma anche la Diocesi e la Parrocchia, sono sempre vasi di creta: preziosi per ciò che contengono, e non per ciò che, a volta, mostrano di sé! Quindi, nessuna modalità storica di vivere il Vangelo esaurisce la sua comprensione! “Se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, ogni giorno ci avvicineremo sempre di più a “tutta la verità” (Gv 16, 13). Al contrario, senza la grazia dello Spirito si può persino cominciare a pensare la Chiesa in una forma sinodale che però, invece di rifarsi alla comunione con la presenza dello Spirito, arriva a concepirsi come una qualunque assemblea democratica fatta di maggioranze e minoranze. Come un parlamento, per esempio: e questa non è la sinodalità. Solo la presenza dello Spirito Santo fa la differenza”!
Carissimi, state comprendendo perché, all’inizio, vi ho detto che Papa Francesco ha espresso le cose meglio di quanto sarei stato capace di fare io stesso? Davvero sembra che questo discorso lo abbia fatto per noi, più che per la Curia romana! Facciamo tesoro delle sue parole e dei suoi suggerimenti e mettiamoci in gioco: dobbiamo aprire percorsi, non occupare spazi, come sempre il Papa ci diceva in Evangelii Gaudium; dobbiamo accettare questa crisi come un tempo di grazia che il Signore ci dona per capire la Sua volontà su ciascuno di noi, sulla Parrocchia, sulla Diocesi e sulla Chiesa tutta. Dobbiamo entrare nella logica, apparentemente contraddittoria, che “quando sono debole è allora che sono forte” (2Cor 12, 10); dobbiamo ricordarci sempre ciò che San Paolo scriveva ai Corinzi: “Dio è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere” (1Cor 10, 13).
È fondamentale, carissimi, non interrompere il dialogo con Dio, anche se faticoso: pregare non è facile, ma non dobbiamo stancarci di pregare sempre (cfr. Lc 21, 36; 1Ts 5, 17). Davvero, come dice sempre il Papa, “non conosciamo alcun’altra soluzione ai problemi che stiamo vivendo, se non quella di pregare di più e, nello stesso tempo, fare tutto quanto ci è possibile con più fiducia. La preghiera ci permetterà di “sperare contro ogni speranza” (cfr. Rm 4, 18)”.
Carissimi fratelli e sorelle, conserviamo una grande pace e serenità, nella piena consapevolezza che tutti noi – io per primo, e con me parroco e sacerdoti, diaconi e religiose, operatori pastorali e
semplici fedeli – siamo solo “servi inutili” (Lc 17,10), ai quali il Signore ha usato misericordia. E, quindi, come dice ancora Papa Francesco: “Per questo sarebbe bello se smettessimo di vivere in conflitto e tornassimo invece a sentirci in cammino, aperti alla crisi. Il cammino ha sempre a che fare con i verbi di movimento. La crisi è movimento, fa parte del cammino. Il conflitto, invece, è un finto cammino, è un girovagare senza scopo e senza finalità, è rimanere nel labirinto, è solo spreco di energie e occasione di male. E il primo male a cui ci porta il conflitto, e da cui dobbiamo cercare di stare lontani, è proprio il chiacchiericcio: stiamo attenti a questo! Non è una mania che io ho, parlare contro il chiacchiericcio; è la denuncia di un male che entra nella Curia; qui a Palazzo ci sono tante porte e finestre ed entra, e noi ci abituiamo a questo; il pettegolezzo, che ci chiude nella più triste, sgradevole e asfissiante autoreferenzialità, e trasforma ogni crisi in conflitto. Il Vangelo racconta che i pastori credettero all’annuncio dell’Angelo e si misero in cammino verso Gesù (cfr. Lc 2, 15-16). Erode invece si chiuse davanti al racconto dei Magi e trasformò questa sua chiusura in menzogna e violenza (cfr. Mt 2, 1-16)”.
Ognuno di noi, qualunque posto occupi nella Chiesa, nella Diocesi e nella Parrocchia, si domandi se vuole seguire Gesù con la docilità dei pastori o con la chiusura di Erode, seguirlo nella crisi o difendersi da Lui nel conflitto. In effetti, carissimi, nella comunità parrocchiale di San Pietro, possiamo proprio vedere le dinamiche che descrive il Santo Padre nella Curia: armonia solo apparente che gli avvenimenti di questi ultimi tempi hanno fatto deflagrare; varie frazioni e fazioni; tanti io che faticano a diventare un noi; tanta diffidenza e sfiducia; assenza di cura e di attenzione reciproca ma solo cose da fare; assenza di prospettive e di speranza; soprattutto, molte, troppe chiacchiere… Tutto questo proprio perché viviamo il conflitto e non la crisi!!
Ricordiamoci, però, che la comunità ideale non esiste, e nemmeno il parroco ideale, e nemmeno i fedeli ideali, e nemmeno il vescovo ideale! E che la vita di una comunità non può dipendere da un parroco e da un suo eventuale cambiamento! L’assemblea che abbiamo vissuto, ci ha dato la possibilità di incontrarci ed ha fatto emergere, prepotentemente, una necessità: che prima di qualunque azione ci deve essere il dialogo, l’incontro, la relazione…
Permettetemi di chiedere a tutti voi, che con me e con il parroco, con i sacerdoti e i diaconi, le religiose e tutti gli operatori pastorali, siete al servizio di Gesù e del Vangelo un grande regalo della Squilla e di Natale: la vostra collaborazione, generosa e appassionata, al di là di ogni chiacchiera e di ogni passato, nell’annuncio della Buona Novella e nella costruzione di una comunità sull’unico fondamento che è Cristo, perché nessuno dica “io sono di Paolo”, “io invece sono di Apollo”, “io invece di Cefa”, “e io di Cristo” (cfr. 1Cor 1, 12). Così, alla luce dello Spirito e colmi della Grazia del Signore, non ostacoleremo la volontà e l’opera del Signore e, anzi, ne diventeremo collaboratori con un servizio in cui emerga il dono dell’umiltà affinché Lui cresca e noi diminuiamo (cfr. Gv 3, 30).
Tantissimi auguri per un Santo Natale e per un sereno 2021. Il Signore colmi della sua benedizione e dei suoi doni ciascuno di voi, le vostre famiglie e tutta la comunità parrocchiale.
Lanciano, 23 dicembre 2020